GIUSEPPE DI MENZA

Giuseppe Di Menza“Maestà, questa volta vengo a rappresentare Gela, mia diletta Patria”; fu allora che re Umberto I di rimando gli disse: “mi congratulo con lei che Gela ha un figlio di meriti e di intelligenza…”. Chi era questo figlio di Gela, pieno di meriti e di intelligenza? Era il Comm. Giuseppe Di Menza, uno dei nostri concittadini di maggior spicco del secolo scorso, andato in commissione dal Re, durante la sua venuta in Sicilia nel 1880, come rappresentante della nostra città.
Giuseppe Di Menza nacque il 22 dicembre 1822 da genitori appartenenti all’aristocrazia gelese. Come su tutti gli altri personaggi, della sua fanciullezza non riusciamo ad avere traccia, sappiamo che all’età di 15 anni, terminati gli studi, (in quell’epoca la scuola era strutturata diversamente da quella successiva al 1859 della legge Casati) intraprese quelli universitari nella facoltà di Diritto a Palermo, primaria in quei tempi e rinomatissima.
Non tradendo mai le speranze dei suoi genitori e sacrificando perfino lo svago più lecito, ma non quello di ricercatore nelle biblioteche palermitane di antichi autori giuristi, di filosofi, storici statisti, alla giovane età di 20 anni, conseguì ugualmente e splendidamente la laurea in Diritto.
Fu, quattro anni dopo, nel1846, che cominciò a mettere a frutto le sue qualità di studioso e, infatti, in quell’anno vinse un concorso a premio sulla Scienza d’Economia Politica, il cosiddetto Premio Angioino, ottenendo un diploma con medaglia di primo grado. Non passò che qualche mese e il giovane Di Menza fu chiamato a svolgere il compito di Segretario del Principe di Castelreale, allora intendente di Caltanissetta.
Intanto nell’isola i fermenti sfociavano nella rivolta contro l’oppressore borbonico; si era nel fatidico 1848 e Giuseppe Di Menza, non estraneo ai sentimenti patriottici, vi partecipò assieme a tanti gelesi, di cui ricordiamo solo i capi: Giuseppe e Giacomo Navarra e i fratelli Camerata Scorazzo. Ma nel 1849 le sorti dovevano rivoltarsi contro i fautori della rivolta, i quali, ripristinatasi la dinastia borbonica in Sicilia, furono in massima parte esiliati. Al Di Menza toccò una sorte migliore; quel governo infatti, invece di punirlo, lo tenne in alta considerazione tant’è che venne assunto, dopo aver conseguito un concorso, al Ministero e Segreteria di Palermo, oggi diremmo al Ministero degli Interni. Da impiegato iniziò una rapida e brillante carriera. Nel 1856 fu nominato Consigliere d’Intendenza a Caltanissetta e, tre anni dopo, sottointendente Titolare nella città di Patti.
Con i moti del 1860, iniziati che furono i nuovi tempi, il nostro concittadino, sicuro della sua rettitudine e del suo liberalismo, stette fermo al suo posto sino all’assetto del nuovo ordine di cose. E così come era avvenuto per il governo borbonico prima, anche per quello sabaudo dopo, il Di Menza non venne perso di vista tant’è che fu quest’ultimo nominato Capo sezione nella segreteria di Stato di Giustizia di Palermo. Due anni dopo, nel 1862, ebbe l’incarico di Procuratore del Re nella stessa città e, un anno dopo, Consigliere d’Appello in Macerata nelle Marche. Con quest’ultima carica fu trasferito prima, nel 1863, a Catania e dopo, nel 1865, a Termini Imprese; infine a Palermo con la missione di Presidente della Corte d’Assise.
Per una serie ininterrotta di anni fu consigliere comunale nel capoluogo dell’Isola, risultando quasi sempre il primo fra i candidati: certamente un affettuoso riconoscimento dell’insigne città di Palermo al nostro illustre concittadino., il quale godeva tanta popolarità e rispetto incondizionati. Più volte declinò la carica di sindaco che alcuni consiglieri comunali gli offrivano, interpreti del desiderio di tutta Palermo, e quando essi gli proponevano spesso il ritiro dalla Magistratura, per averlo a capo della cittadinanza, il Di Menza tra il serio e il faceto soleva dire: “Sono Magistrato e da Magistrato voglio morire”. Finalmente nel 1880 ascese al posto di Presidente di Corte d’Appello e in quello stesso anno, ricevette dal Governo Italiano il titolo di Commentatore dell’Ordine della Corona d’Italia.
Ma, nonostante che fosse ingolfato in mille cose, il Comm. Di Menza non dimenticò mai la sua terra natia. A parte i singoli favori che mai negò ai gelesi, a lui si debbono la reintegra dei beni demaniali usurpati e i benefici della divisione dei terreni di Gela alle classi diseredate.. Fu egli che appoggiò allora le aspirazioni del nostro comune per le comunicazioni stradali e per la restituzione dei fondi dalla Casa Monteleone contro la quale lo stesso Comune sosteneva da tempo liti irrisolvibili. Inoltre, fu sempre opera del nostro concittadino l’esecuzione del testamento della Principessa Roviano Anna Maria Pignatelli, fatto nel 1842, a favore dell’educazione religiosa e civile dei gelesi con l’erezione del Convitto Roviano Pignatelli.
Durante la sua attività di magistrato licenziò alla stampa molti lavori a carattere giuridico, si ricordano. “Cronache delle Assise di Palermo” e “Il processo Catalfamo”, ma anche di carattere letterario e di genere storico-romantico come “Fotografie e Profili e Episodi della vita del Masnadiere Leone”. Fu fondatore e collaboratore del “Circolo Giuridico”, un’opera colossale che raccoglieva i lavori giudiziari più importanti dell’epoca. Ebbe relazione epistolari con celebri letterati come il Cantù, il D’Azeglio, Il Tommaseo, il Gregorovius, il Longo, oltre a legami di amicizia che l’univano ai D’Aita, ai Sampieri, ai Mortillaro, ai De Spucches, ai Galati e ad altre nobiltà letterarie di Sicilia. Fu socio effettivo dell’Accademia di Araldica di Pisa, e di quella di Storia Patria di Palermo, nonché socio di tanti Circoli e tante Società di Scienze giuridiche, morali e politiche e Mutuo Soccorso.
Uomo fortunato, grazie ai suoi meriti, nella carriera dunque, ma purtroppo non altrettanto fortunato nell’ambito familiare. Anzi si può dire che “…la sventura fu sempre sorella di Di Menza…”. Nel 1845, l’unico suo fratello perse la vita in un incidente. Non ebbe in conforto di trovarsi a Gela a tempo per imprimere nella fronte dei suoi genitori l’ultimo bacio. Nel 1875, l’unica figlia, Giuseppina, all’età di 16 anni, gli venne strappata dalla morte per una banale puntura di ago infetto. Nel 1886, la moglie Angelina, ancora in età giovanile, morì affetta da una malattia inguaribile, lasciando così il Di Menza nella più totale desolazione.
Egli seppe sempre sopportare pazientemente queste enormi pene, ma la sua salute ne rimase scossa e danneggiata. Il 14 aprile del 1896, dopo due anni di penosa malattia, il Comm. Giuseppe Di Menza rese l’anima a Dio, rimpianto da tutta la cittadinanza.
Quando venne reso pubblico l’annunzio della sua morte, Palermo rimase dolorosamente impressionata. La Giunta municipale riunitasi d’urgenza deliberò di rendere solenni onoranze all’estinto. Alle esequie partecipò tutta Palermo con la Magistratura al completo.
Nello stesso giorno del decesso, non appena giunse a Gela l’infausta notizia della morte del Commentatore, il nostro Municipio, in omaggio al concittadino defunto, sciolse la seduta dopo l’pplauditissima allocuzione funebre del cav. Avv. Antonino Cipolla, assessore più anziano facente funzione di sindaco, in cui espose le doti rare del concittadino e i più rilevanti benefici fatti alla patria.
Il 20 maggio, ad un mese esatto dalla morte del Comm. Di Menza fu celebrata a Gela, a cura dell’amministrazione comunale, nella cattedrale, una messa di suffragio per l’anima del Di Menza a cui partecipò tutta la cittadinanza, che osservò un giorno di lutto cittadino e quindi tutte le attività si fermarono per l’evento.

Fonte: Nuccio Mulè